Mario Pizzola Su Marelli e Green Deal
24 Settembre 2025 - 11:29:01
Finalmente sappiamo perché la Marelli è in crisi: è tutta colpa del
Green Deal europeo. Ce lo hanno spiegato i rappresentanti del Governo, i
parlamentari Guido Quintino Liris e Etelwardo Sigismondi, nella
assemblea svoltasi nell’aula consiliare di Sulmona. Secondo i due
esponenti del centro destra la decisione dell’Europa di stabilire
l’obbligo di vendere nell’UE solo auto ad emissioni zero a partire dal
2035 sarebbe una “scelta ideologica”. Come se tale scelta appartenesse
alla sfera delle disquisizioni filosofiche e non scaturisse, invece,
dalla necessità inderogabile di tutelare la salute pubblica e di
scongiurare il collasso climatico del nostro pianeta. La stessa tesi
viene ripetuta da tempo come un mantra dal presidente della Regione
Marco Marsilio, il quale pochi giorni fa ha dichiarato: “Le scadenze del
Green Deal per il settore auto, con la riduzione delle emissioni e una
transizione esclusivamente elettrica, sono inadeguate e
irraggiungibili”. Se davvero fosse così, essi dovrebbero spiegare perché
in Norvegia il 90 per cento di nuove immatricolazioni riguarda le auto
elettriche e perché in questo campo perfino il Portogallo è più avanti
dell’Italia.
La crisi dello stabilimento di Sulmona è la crisi della Marelli a
livello nazionale. E la crisi della Marelli è la crisi dell’ automotive
italiano. Il peccato d’ origine risale a più di dieci anni fa ed è
dovuto alla mancanza di visione industriale da parte di chi allora
guidava il settore. Non dimentichiamo ciò che dichiarò Marchionne a
Washington nel 2014: “Spero che non compriate la 500 elettrica, perché
ogni volta che ne vendo una perdo 14.000 dollari”. E’ questa posizione
di retroguardia che ha portato alla incapacità di cogliere le
opportunità del cambiamento e che ha provocato conseguenze pesantissime
non solo per il gruppo Fiat ma anche per i ritardi dell’Europa.
Che la mobilità elettrica rappresenti il futuro lo sanno molto bene gli
stessi costruttori di auto con motore endotermico. Le proiezioni
tecnologiche al 2035 ci dicono che a quella data i consumatori potranno
acquistare auto a zero emissioni a prezzi anche più vantaggiosi rispetto
ai veicoli tradizionali. La richiesta di allentare i vincoli europei è
dovuta ad una visione miope e a precisi interessi dei grandi produttori:
sfruttare al massimo gli impianti esistenti, che consentono margini di
profitto più elevati, ed evitare nuovi costosi investimenti in
tecnologie più avanzate. A ciò si aggiunge l’interesse delle
multinazionali dell’Oil & Gas (in Italia Eni e Snam) che non intendono
rinunciare alle loro quote di mercato e di profitto. Lo stesso Draghi,
nel suo rapporto di un anno fa sulla competitività europea, metteva in
evidenza che il ritardo non è dovuto alle regole ma al deficit di
investimenti rispetto alla forte concorrenza asiatica, e in particolare
cinese, che è più avanti di noi di almeno dieci anni. Ma il governo
continua ad andare avanti senza una strategia e si riduce ad essere il
braccio operativo delle lobby impegnate a “raschiare il fondo del
barile”. A pagarne le conseguenze è il sistema industriale del Paese e i
lavoratori, considerati solo numeri allo sbando.
Marelli è il primo produttore di componenti auto italiano. L’azienda è
nata nell’ottobre 2018 con la vendita di Magneti Marelli da parte di FCA
al gruppo di investimento statunitense KKR che poi ha fuso l’azienda
italiana con la giapponese Calsonic Kansel. Ma KKR ha fatto questa
operazione utilizzando molto denaro preso in prestito e usando come
garanzia le attività della società acquisita. In questo modo KKR ha
scaricato su Marelli i debiti miliardari contratti per acquistarla. Per
questa ragione ha limitato fortemente gli investimenti che, invece,
sarebbero vitali per rilanciare l’azienda, e cioè proprio quelli da
destinare alla transizione verso la mobilità elettrica.
L’assemblea comunale, come da rito, si è chiusa con un ordine del giorno
che impegna Regione e Governo a fare tutto il possibile per salvare lo
stabilimento di Sulmona e con esso l’occupazione. Ma, come spesso
accade, si arriva quando i buoi sono ormai fuggiti dalla stalla. E’
ancora possibile dare un futuro alla Marelli? In teoria sì, ma con
questa governance aziendale e con questa classe politica di governo è
come scalare il Gran Sasso con le ciabatte.
Green Deal europeo. Ce lo hanno spiegato i rappresentanti del Governo, i
parlamentari Guido Quintino Liris e Etelwardo Sigismondi, nella
assemblea svoltasi nell’aula consiliare di Sulmona. Secondo i due
esponenti del centro destra la decisione dell’Europa di stabilire
l’obbligo di vendere nell’UE solo auto ad emissioni zero a partire dal
2035 sarebbe una “scelta ideologica”. Come se tale scelta appartenesse
alla sfera delle disquisizioni filosofiche e non scaturisse, invece,
dalla necessità inderogabile di tutelare la salute pubblica e di
scongiurare il collasso climatico del nostro pianeta. La stessa tesi
viene ripetuta da tempo come un mantra dal presidente della Regione
Marco Marsilio, il quale pochi giorni fa ha dichiarato: “Le scadenze del
Green Deal per il settore auto, con la riduzione delle emissioni e una
transizione esclusivamente elettrica, sono inadeguate e
irraggiungibili”. Se davvero fosse così, essi dovrebbero spiegare perché
in Norvegia il 90 per cento di nuove immatricolazioni riguarda le auto
elettriche e perché in questo campo perfino il Portogallo è più avanti
dell’Italia.
La crisi dello stabilimento di Sulmona è la crisi della Marelli a
livello nazionale. E la crisi della Marelli è la crisi dell’ automotive
italiano. Il peccato d’ origine risale a più di dieci anni fa ed è
dovuto alla mancanza di visione industriale da parte di chi allora
guidava il settore. Non dimentichiamo ciò che dichiarò Marchionne a
Washington nel 2014: “Spero che non compriate la 500 elettrica, perché
ogni volta che ne vendo una perdo 14.000 dollari”. E’ questa posizione
di retroguardia che ha portato alla incapacità di cogliere le
opportunità del cambiamento e che ha provocato conseguenze pesantissime
non solo per il gruppo Fiat ma anche per i ritardi dell’Europa.
Che la mobilità elettrica rappresenti il futuro lo sanno molto bene gli
stessi costruttori di auto con motore endotermico. Le proiezioni
tecnologiche al 2035 ci dicono che a quella data i consumatori potranno
acquistare auto a zero emissioni a prezzi anche più vantaggiosi rispetto
ai veicoli tradizionali. La richiesta di allentare i vincoli europei è
dovuta ad una visione miope e a precisi interessi dei grandi produttori:
sfruttare al massimo gli impianti esistenti, che consentono margini di
profitto più elevati, ed evitare nuovi costosi investimenti in
tecnologie più avanzate. A ciò si aggiunge l’interesse delle
multinazionali dell’Oil & Gas (in Italia Eni e Snam) che non intendono
rinunciare alle loro quote di mercato e di profitto. Lo stesso Draghi,
nel suo rapporto di un anno fa sulla competitività europea, metteva in
evidenza che il ritardo non è dovuto alle regole ma al deficit di
investimenti rispetto alla forte concorrenza asiatica, e in particolare
cinese, che è più avanti di noi di almeno dieci anni. Ma il governo
continua ad andare avanti senza una strategia e si riduce ad essere il
braccio operativo delle lobby impegnate a “raschiare il fondo del
barile”. A pagarne le conseguenze è il sistema industriale del Paese e i
lavoratori, considerati solo numeri allo sbando.
Marelli è il primo produttore di componenti auto italiano. L’azienda è
nata nell’ottobre 2018 con la vendita di Magneti Marelli da parte di FCA
al gruppo di investimento statunitense KKR che poi ha fuso l’azienda
italiana con la giapponese Calsonic Kansel. Ma KKR ha fatto questa
operazione utilizzando molto denaro preso in prestito e usando come
garanzia le attività della società acquisita. In questo modo KKR ha
scaricato su Marelli i debiti miliardari contratti per acquistarla. Per
questa ragione ha limitato fortemente gli investimenti che, invece,
sarebbero vitali per rilanciare l’azienda, e cioè proprio quelli da
destinare alla transizione verso la mobilità elettrica.
L’assemblea comunale, come da rito, si è chiusa con un ordine del giorno
che impegna Regione e Governo a fare tutto il possibile per salvare lo
stabilimento di Sulmona e con esso l’occupazione. Ma, come spesso
accade, si arriva quando i buoi sono ormai fuggiti dalla stalla. E’
ancora possibile dare un futuro alla Marelli? In teoria sì, ma con
questa governance aziendale e con questa classe politica di governo è
come scalare il Gran Sasso con le ciabatte.