10 Ottobre 2025 - 16:44:14
di Martina Colabianchi
Il terribile, ennesimo, femminicidio (se ne contano più di 40, secondo gli ultimi dati disponibili, dall’inizio dell’anno) avvenuto a Lettomanoppello, in provincia di Pescara, non solo ha scosso il piccolo paese e l’Abruzzo intero, ma invita anche ad una riflessione più ampia su un fenomeno che appare incontrastabile e che è solo l’ultima manifestazione, la più grave, della violenza di genere.
Lo fa nel giorno dedicato alla salute mentale, tema che si intreccia fortemente ai rapporti tra i generi.
Per prime, a fare una riflessione, sono la presidente della commissione Pari Opportunità della Regione Abruzzo, Rosa Pestilli, e Maria Rosita Cecilia, vicepresidente dell’Ordine delle psicologhe e degli psicologi della Regione Abruzzo. «Se da un lato ribadiamo che il benessere psicologico è essenziale per ogni cittadino – scrive la presidente Rosa Pestilli – dall’altro non possiamo tacere l’orrore, di fronte al femminicidio nel pescarese. La notizia del delitto avvenuto a Lettomanoppello (PE), che ha strappato la vita a una donna, ci colpisce al cuore e ci ricorda con drammatica urgenza che la violenza di genere è la manifestazione più estrema e letale di un profondo disagio sociale e culturale».
«Questo atto non è un ‘raptus’, ma il culmine di una violenza psicologica, relazionale ed emotiva che distrugge la salute mentale delle vittime prima ancora che la loro vita. La salute mentale è anche un tema di sicurezza sociale, che ci impone di non tollerare il sistema patriarcale e lo stigma che costringono le donne a vivere nella paura e nel silenzio», sottolinea Maria Rosita Cecilia.
«Il nostro impegno come Cpo – sottolinea Pestilli – acquista oggi un significato ancora più impellente. Non basta indignarsi; serve un’azione strutturale per proteggere i cittadini e rafforzare il loro benessere psicologico. Seguendo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), riconosciamo che alcune categorie sono esposte a un rischio maggiore di sofferenza mentale a causa di disuguaglianze strutturali, discriminazioni o condizioni di vita precarie. La nostra azione è prioritaria per: donne, in quanto principali vittime di violenza di genere e discriminazione: La paura e lo stress derivanti dalla violenza subita o potenziale hanno un impatto devastante sulla loro salute mentale; giovani e adolescenti: aiutare a decostruire i modelli tossici di relazione e fornire supporto psicologico precoce; anziani e persone con malattie croniche: contrastare l’isolamento e la solitudine che aumentano il disagio psicologico; persone con disagio socio-economico, migranti e minoranze: fornire accessibilità alle cure per chi già affronta la vulnerabilità sociale».
«Il nostro piano d’azione in Abruzzo, – spiegano i vertici Cpo – si pone i seguenti obiettivi: stop allo stigma e al silenzio, promuovendo la cultura dell’aiuto e dell’ascolto, fondamentale per intercettare il disagio prima che degeneri; rafforzamento della Rete Antiviolenza. Sostenendo e promuovendo i Centri Antiviolenza e i servizi di sostegno psicologico sul territorio, come luoghi essenziali per la salute e la sicurezza delle donne; prevenzione educativa, lavorando nelle scuole con progetti come “On The Road” per educare al rispetto, alle pari opportunità e alla cultura delle emozioni, combattendo la radice della violenza».
Anche la garante per i detenuti della Regione Abruzzo, Monia Scalera, ha voluto dedicare una riflessione a quanto accaduto, sottolineando l’importanza della funzione rieducativa del carcere, anche per prevenire tragedie come quella che ha sconvolto il piccolo paese abruzzese.
«Il tragico femminicidio di Lettomanoppello impone una riflessione profonda e urgente sul sistema penale e sul modo in cui la società si prende cura o, spesso, non si prende cura, di chi manifesta fragilità psichiche gravi. Si sarebbe potuto evitare? Chi può dirlo con certezza. Ma ciò che è certo è che da episodi come questo dobbiamo trarre insegnamenti, non rassegnazione. Occorre ribadire con forza che la rieducazione non è un principio astratto, ma una missione concreta che deve orientare ogni azione istituzionale. Si parla spesso di rieducazione del detenuto, ma troppo poco si fa per renderla realmente possibile e non per mancanza di volontà da parte di chi lavora ogni giorno negli istituti penitenziari, ma per carenza di strumenti, risorse e strutture adeguate», dichiara Scalera.
«È ormai evidente la necessità di ampliare il numero dei posti nelle strutture terapeutiche destinate a persone affette da patologie psichiatriche autrici di reato, nonché di rafforzare le connessioni tra il sistema sanitario e quello sociale – prosegue -. Questi due mondi devono procedere insieme, in una logica di corresponsabilità e presa in carico integrata. Il carcere non può essere il luogo per chi soffre di gravi disturbi mentali, né per chi combatte con la dipendenza da sostanze, e ancor meno per coloro che convivono con una doppia diagnosi. In questi casi, la detenzione non solo è inadeguata, ma rischia di peggiorare le condizioni di chi vi è sottoposto, trasformando la pena in un fallimento collettivo».
«L’impegno delle istituzioni deve essere quello di promuovere la rieducazione, la cura e la prevenzione, affinché episodi come quello di Lettomanoppello non restino soltanto tragedie da commentare, ma diventino un punto di partenza per un sistema penale e sanitario più umano, giusto e capace di tutelare davvero la collettività», conclude Scalera.
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