26 Dicembre 2025 - 09:43:25

di Beatrice Tomassi

Un’importante scoperta nella ricerca sul Parkinson arriva dall’Università degli Studi dell’Aquila, protagonista di uno studio internazionale che potrebbe cambiare il modo di diagnosticare e curare la malattia. Un team di ricercatori italiani, statunitensi e olandesi ha infatti identificato un biomarcatore nel sangue in grado di prevedere l’evoluzione del Parkinson nei primi anni dopo la diagnosi.

La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Aging e apre nuove prospettive per una patologia neurologica diffusa e altamente invalidante, che colpisce milioni di persone nel mondo, soprattutto in età avanzata.

Il punto di forza dello studio è la possibilità di capire in anticipo quanto grave diventerà la malattia nei tre anni successivi alla diagnosi. Un’informazione fondamentale per i medici, che potranno così pianificare con maggiore precisione tempi e modalità delle terapie.

La ricerca si inserisce in un contesto demografico ben noto: la popolazione italiana ed europea sta progressivamente invecchiando e, come detto, l’età rappresenta uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza del Parkinson.

I ricercatori hanno concentrato l’attenzione su un fenomeno tipico dell’età avanzata: l’accumulo di danni al DNA. Con il passare degli anni, le cellule diventano meno efficienti nel riparare il proprio materiale genetico. Analizzando il sangue dei pazienti affetti da Parkinson, il team ha osservato una riduzione dei meccanismi cellulari deputati a questa funzione. In particolare, è stato individuato un marcatore presente solo nei pazienti che, nel tempo, hanno sviluppato forme più gravi della malattia.

A coordinare lo studio è stato il professor Pier Giorgio Mastroberardino, docente all’Università dell’Aquila, che spiega come il trattamento standard per il Parkinson sia la sostituzione della dopamina, che nei pazienti viene a mancare a causa della perdita dei neuroni. La dopamina funziona come un freno sui movimenti, quando questo freno non funziona più, iniziano i tremori. Tuttavia, somministrarne in eccesso può causare gravi effetti collaterali, come movimenti involontari e incontrollati.

In questo contesto, lo studio, prevedendo l’evoluzione della malattia, permetterebbe di utilizzare la terapia solo quando realmente necessaria.

Sebbene saranno necessari ulteriori studi prima di un’applicazione clinica, la scoperta rappresenta un passo decisivo verso l’obiettivo di arrivare, un giorno, a prevedere l’andamento del Parkinson con un semplice esame del sangue.